Day 23
l’ospite
24/09/2016
Iniziamo dalla scena clou.
A tavola.
Mio figlio parla con la voce dell’innocenza dei suoi 7 anni, assestandomi una pugnalata emotiva – seppur involontaria – da boia medioevale.
“Oggi è un pranzo bellissimo! Abbiamo un meraviglioso OSPITE: papà!”
Non commento altro. Né lo sguardo di mia moglie, né la chiusura immediata del mio stomaco. “Ospite” e “Papà” nella stessa frase. Brividi freddi.
Riabbracciare tutti dopo quindici giorni è stato bellissimo, ma velatamente triste, perché l’ombra di dover andare via dopo 48 ore è sempre lì, ben presente dietro ogni sorriso, ogni stretta di mano, ogni sguardo che mi conosce nel quale leggo: “poverino… come gli è finita!”
Ciò che mi ha colpito maggiormente è stato rientrare in casa, girare la chiave e vedere straordinariamente bello ciò che due mesi fa era normale (e commuovermi pensando al “sottoscala” in cui vivo su al Nord – descritto minuziosamente nel Day 15 – e a cosa ho fatto per meritare tutto ciò)(“la domanda di assunzione volontaria“, si lo so).
La serata è andata meglio, compresa la tanto attesa “festa nel lettone” di cui parlavo in videochat con i bambini da una settimana (quando e se mi funzionava il collegamento ad internet).
Il velo resta, però. Avevo una vita felice, ad oggi non lo è. Le difficoltà si superano, certo, ma le vie d’uscita che posso intravvedere al giorno d’oggi sono tutte in senso peggiorativo, per chissà quanti anni ancora.
La sicurezza di un lavoro vale tutto ciò?
Il prof emigrante (in pausa di emigrazione ed in ritardo di metà giornata sul consueto orario di pubblicazione)
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Note:
Il cielo nuvoloso non mi ha ancora permesso di vedere lo skyline naturale che accompagna ogni mio risveglio. Per chi è nato e cresciuto sotto di “Lei” è un’assenza pesante. Speriamo domattina vada meglio.