Day 25
la sindrome del pendolare
26/09/2016
Nella mente umana, a volte, soprattutto quando è già messa a dura prova da sconvolgimenti epocali, scattano strani meccanismi che ti fanno convincere di fatti e situazioni totalmente al di fuori della realtà che però per te, e solo per te, risultano inspiegabilmente verosimili.
Così se prendi una bicicletta dopo 20 anni e fai una quindicina di chilometri, improvvisamente sei diventato un membro appartenente alla vasta comunità dei ciclisti; oppure se riesci ad aggiustare un rubinetto che perde, ti atteggi a mago del bricolage, per non parlare dell’autostima da specchio: quanto affascinante e sexy si sente ognuno di noi potendo scegliere di riflettersi nelle pose che meglio nascondono i nostri difetti più evidenti.
Beh. A me oggi è successo qualcosa di simile. Mi sono alzato, lavato, vestito, ho visto la mia famiglia prendere la propria strada (Lei è andata presto al lavoro, i bambini li ho personalmente accompagnati a scuola – si, le facce di bronzo che temevo ieri erano lì parate ad aspettarmi tutte intente a recitare il loro ruolo di prefiche*), poi ho preso l’aereo, ho letto un quarto di libro durante il tragitto, ho ripreso la mia auto, le mie cose, sono rientrato nella mia micro-casa in affitto temporaneo e, come se nulla fosse, sono andato al lavoro.
Fra due settimane (le altre volte dopo una) farò il percorso inverso e abbraccerò di nuovo la mia famiglia.
Tutto estremamente normale.
Sono un pendolare.
Nient’altro che un normalissimo pendolare.
Con i tempi dilatati.
Con le distanze dilatate.
Con il portafoglio dilaniato.
Con la professionalità di sempre.
E il cuore disperso in una regione lontana.
Il prof emigrante
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NOTE:
1) No, “prefiche” non è una parola volgare. Merita una googleata.
2) La mia esperienza da ciclista la trovate qui, alla voce “Sindrome da quarantenne”
3) Beh, devo inserire assolutamente una foto qui. La mia sistemazione è cambiata dalla notte al giorno con questa modifica. Ora si che mi sento davvero in una reggia.