Il decalogo del “fungiaro” siciliano

Chi scrive parla forte di un’esperienza personale quasi nulla, ma conoscendo parecchi “fungiari” per passione, qualcosa del loro mondo riservato e misterioso potrebbe averla comunque capita.

A partire dai dieci precetti fondamentali.


PRIMO COMANDAMENTO

Non rivelare la tua meta

Diffida di tutto e di tutti, sempre

Se l’esperienza lo ha già forgiato bene, il vero fungiaro sa che ogni altro appassionato è contemporaneamente un potenziale nemico e, qualora sia un tipo ingenuo, una fonte di conoscenza da cui assorbire informazioni preziose. Una volta trovato un buon posto, magari sperduto sui Nebrodi e raggiungibile dopo decine di chilometri di sterrato, oppure in una remota dagala dell’Etna risparmiata miracolosamente da una colata, per nessuna ragione dovrà rivelarlo agli altri cercatori, per paura di perdere una possibile (spesso immaginaria), esclusiva conquistata con benzina, sudore e fatica.

Questo comandamento ha il difetto che viene spesso portato all’eccesso, soprattutto perchè la diffidenza si manifesta anche nei confronti di tutte le altre persone, il 98% neanche lontanamente interessate alla ricerca dei funghi, in primis le consorti. Migliaia di mogli ormai vivono la domenica mattina in angosciosa attesa del ritorno del fungiaro disperso, guardando quel telefonino lasciato sul mobile dell’ingresso per non essere tracciato negli spostamenti neanche da Google.

Il fungiaro non le ha detto nulla apposta prima di uscire da casa, per paura che lei, serpe in seno, possa lasciarsi scappare la meta misteriosa in una discussione occasionale con parenti e amici. Anche perché nella sua mente lacerata dal sospetto dire semplicemente “Vado sui Nebrodi” (il parco ha una dimensione di 85.587,37 ettari) è una indicazione già troppo precisa.

Un castagneto dell’Etna, denominato “Acqua rocca degli zappini”. Troppo famoso e troppo facile da raggiungere.


SECONDO COMANDAMENTO

Ama il fungo tuo più di te stesso

e conosci la micologia, il territorio e… tutto quello che ti serve

Il fungiaro moderno deve venerare il suo oggetto di desiderio, ma soprattutto deve conoscerlo; da bravo aspirante micologo, ha seguito i corsi obbligatori per la licenza ed è pronto a distinguere con maestria un buon porcino dalla sua variante tossica “che spezzata diventa subito viola“, guarda con disprezzo i funghi non commestibili, si accovaccia per sentire l’odore del terreno e scorgere i cumuli di foglie impercettibilmente sollevate, raccoglie il fungo con delicatezza e attenzione per non rovinare il lavoro di chi poi dovrà cucinarlo, dispensa conoscenza ed esperienza ai suoi inesperti accompagnatori occasionali, nasconde sotto i baffi una risata quando questi finiscono nel fango fino alle ginocchia camminando in quella che solo apparentemente sembrava una distesa erbosa.

Camminando nei boschi, il fungiaro poi macina chilometri e chilometri, in terreni pieni di costoni e avvallamenti, allontanandosi moltissimo dalla propria automobile per andare a cercare quella minuscola pianura dove nascono i prataioli o la vallata inaccessibile dove si trovano gli ovuli. Il rischio di perdersi è altissimo, soprattutto quando si finisce giocoforza in fitti boschi in cui la luce filtra poco e lascia senza punti di riferimento.

Se l’orgoglio e una innata diffidenza verso la tecnologia gli impediscono di utilizzare il GPS del telefono (che spesso lascia a casa – vedi c.1), quando il cestino e pieno e si avvicina il momento di rientrare, parte un percorso a ritroso (di solito sempre in salita) nella speranza di aver mantenuto la linea retta che ci si era prefissati e che spesso e volentieri finisce in una stradina della quale è impossibile sapere se l’auto è a monte o a valle. L’importante è non lasciar intravvedere il panico agli altri cercatori che si incontrano lungo il cammino. Almeno fino all’approssimarsi del tramonto, momento a partire dal quale diventa lecito chiedere informazioni.

“Daccordo, quello con i puntini bianchi è facile da riconoscere. Ma gli altri? Devi guardare le lamelle, Poi senti l’odore? Se gli dai un colpetto e si rompe non è buono! Spezzane un pezzetto, se cambiacolore non va bene. Quello non è un fungo, è una pietra, non lo vedi?”


TERZO COMANDAMENTO

Non fidarti del barista

Lui per primo non si fida di te

Non esiste una App per la condivisione delle esperienze (Mushbook? Instafung? Fungadvisor?). Ciò che è normale per i ciclisti o per chi frequenta i ristoranti, è un taboo invalicabile per i cercatori di funghi. In questo oceano di diffidenza, si staglia una figura dall’aurea quasi mistica, cui tutti fanno affidamento in un gioco di sguardi e ammiccamenti che sembra di essere nella mano decisiva di una briscola in 4 da veterani della Pro Loco: il barista lungo la strada.

Non lo trovi al centro del paese, non lo trovi in un grande bar, non lo trovi agli orari degli altri bar. Il suo habitat naturale è un piccolo locale lungo una strada secondaria, nelle periferie dei piccoli paesi che si affacciano sui territori più impervi. La sua ora di punta è alle prime luci dell’alba e i suoi cornetti caldi appena sfornati sono miracolosamente i più buoni del pianeta, e rappresentano anche l’ultima traccia di civiltà prima di tornare ad essere un tutt’uno con la natura.

Quando il fungiaro si avvicina al barista, lo guarda negli occhi con lo sguardo di Clint Eastwood e gli fa una domanda specifica sulla zona che sta puntando in quella mattinata. L’uomo dietro al bancone sospira, non risponde mai a parole, per poi sciogliersi in un semplice, leggerissimo gesto: con gli occhi, con il naso, con l’angolo della bocca. Qui, mi dispiace, ma si tratta di un linguaggio talmente ben codificato e di un rituale così ben costruito nel tempo a cui non posso che arrendermi, in assenza di strumenti adatti alla decodifica. Con un grande dubbio visibile in entrambi: “si saranno detti la verità?

“Ti ritroverò, un giorno. Giuro che ti ritroverò!”


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