Day 215
Il borgo sperduto
06/04/2019
Ieri, dopo i colloqui, avevo un po’ di tempo a disposizione e pochissima voglia di chiudermi a casa già alle 17.00.
Con il cambio dell’ora e Ciao Darwin che inizia solo alle 22.00 (Perché quelle facce? Vi sfido a trovare qualcosa alla tv che vi metta più buonumore) (e al paesello, ne serve tanto) (è come la Norvegia zaloniana, ma vissuta da soli), ho preso l’auto iniziando a girare senza meta.
Così mi guardo intorno, scorgendo dalla strada principale un paesino molto in alto, arroccato sul cucuzzolo di una piccola montagna e decido di andare.
Dopo millemila tornanti, mi ritrovo in una cittadina di 184 anime, immersa nel silenzio più assoluto in cui l’unico rumore che percepivo in quella che a tutti gli effetti era la piazza del paese era quello – mai udito prima – dei miei polpastrelli intenti a battere sul display mentre facevo una foto o scrivevo un messaggio.
Nella piazzetta chiusa, ricavata dal cortile del palazzo dei signori (con stemma papale, come in tutti i borghi della zona) il silenzio fa quasi paura.
Sensazione di pace suprema; mi siedo sul “belvedere” ricavato sul tetto di un edificio e mi fermo lì 10 minuti a far niente, affacciandomi sulla valle.
Al momento di rientrare, delle 184 anime previste, avrò incontrato:
- 1 vecchietta con qualche palese problema, intenta a parlare con una gallina in una strada laterale.
- 1 signore di mezza età che lavorava nel suo garage
- 6 o 7 voci indistinte che cercavano la “botta di vita” quotidiana dedicandosi alla recita del Rosario
- 2 gatti a cui qualche umano doveva aver fornito loro dei croccantini, ma non so se anch’essi sono conteggiati nei 184.
Lo sguardo litigioso degli autoctoni
Nel percorso di ritorno verso l’auto, infine, ho sentito squillare un telefono nel palazzo nobiliare adibito a municipio.
Pochi attimi prima di entrare in auto, 500 metri più giù, squillava ancora e lo si sentiva distintamente.
Si chiama Rocca Canterano.
Bel borgo, davvero molto caratteristico.
Ma quanto ci si potrebbe vivere?
Il prof emigrante